foto Gennaro Guida©

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Ah. Vuoi scrivere la mia orazione funebre.
Ma io non sono morta. Accidenti.
Non so se ti posso aiutare.
Vorrei. Fammi provare. Vorrei.
Non ci avevo mai pensato. È vero questo che dici, sì sì.
È giusto: dovremmo essere noi a parlare di noi stessi, al nostro funerale.
Sono così scialbi i discorsi d’occasione dei parenti.
A parte i figli e i nipoti, certo
che a volte dicono cose minime
e vere, a volte sorridono persino. Io vorrei che tutti sorridessero
ma di figli non ne ho. Perciò dubito
temo la cerimonia solenne il ricordo accorato.
Che spreco.
Che occasione mancata.
Sarebbe bello esserci da vivi – hai ragione.
Dare a tutti il benvenuto,
approfittare per dire un’ultima cosa.

foto Gennaro Guida©

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L’alba si presentò sbracciata e impudica; io la cinsi di alloro da poeta: ella si risvegliò lattante, latitante. 

Impromptu di Amelia Rosselli 

Dora, Amelia, Carol, Maria, Lisetta, cinque antenate. Concita, Erica, due presenze, due corpi, due donne che con le loro voci ricamano lo spazio, un piede nell’infanzia, in quel tutto grande e stupefacente, e un piede nella vecchiaia, dove tutto sembra fatto di vento. Creature forti, passionali, selvagge, fragili, determinate, rivoluzionarie: donne. Artiste che hanno messo a fuoco ogni frammento della loro vita, del loro tempo, anime in cammino, finestre luminose. L’ascolto e il silenzio sono stati i miei complici nella creazione di una messa in scena che ha i colori della meditazione. Il femminile e la sua potenza di fuoco. La sua bellezza, la sua forza, la sua luce.

Cinque donne al centro della scena - Dora Maar, Amelia Rosselli, Carol Rama, Maria Lai e Lisetta Carmi - che prendono parola per l’ultima volta. E dicono di sé, senza diritto di replica. Entrano in scena, a teatro, subito prima di uscire di scena, nella vita. Come se un momento prima di sparire potessero voltarsi verso il pubblico: “Ah. Resta da dire un’ultima cosa”

La scintilla del progetto teatrale che tiene insieme Concita De Gregorio, scrittrice e giornalista di successo, Erica Mou, una cantautrice trentenne, sempre più apprezzata nella scena musicale italiana, è il libro di Concita De Gregorio “Così è la vita – imparare a dirsi addio” (Einaudi 2012), scritto dopo la scomparsa di suo padre.

foto Gennaro Guida©

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Mi sono appassionata alle parole e alle opere di alcune figure luminose del Novecento. Donne spesso rimaste in ombra o all’ombra di qualcuno. Ho studiato il loro lessico sino a “sentire” la loro voce, quasi che le avessi di fronte e potessi parlare con loro. Ho avuto infine desiderio di rendere loro giustizia. Attraverso la scrittura, naturalmente, non conosco altro modo. La galleria delle orazioni si apre con quella di Dora Maar, la donna che piange dei quadri di Picasso, che mi accompagna sin da bambina. Poi sono venute Amelia Rosselli, poeta della mia adolescenza. Carol Rama e la sua ossessione artistica per il sesso motore di vita, l’anticonformista che mi ha accompagnata nella giovane età adulta. Maria Lai che ha ricamato libri e tenuto insieme, coi suoi fili dorati, persone, paesi e montagne: la maturità. Infine, Lisetta Carmi, che - unica vivente - mi ha aperto le porte di casa sua e reso privilegio della sua compagnia, delle sue parole, della sua saggezza. A queste cinque donne è dedicata un’orazione funebre, immaginando che siano loro stesse a parlare ai propri funerali per raccontare chi sono. Invettive, perché le parole e le intenzioni sono veementi e risarcitorie. Ho usato per comporre i testi soltanto le loro parole - parole che hanno effettivamente pronunciato o scritto in vita - e in qualche raro caso parole che altri, chi le ha amate o odiate, hanno scritto di loro.

Concita De Gregorio

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Penso che tornare all’origine sia molto diverso dal tornare indietro e che al contrario abbia a che fare con la tessitura del futuro. Questo spettacolo sbroglia la vita dal nodo della morte. Le vite, anzi, di cinque incredibili donne del secolo scorso ma persino le nostre, qui di fronte a voi sul palco. Per interpretarlo sono stata costretta a ritornare all’origine della mia musica, a utilizzare la voce nuda, lo strumento che mi porto sempre addosso ma con cui così raramente resto sola. E nella scrittura delle canzoni ho dovuto guardare alla lingua della terra che mi ha generata, alle sintetiche parole del dialetto che ho parlato poco ma che ho sempre capito alla perfezione. I movimenti dell’esistenza non sono lineari, nient’affatto, siamo noi che abbiamo deciso di farci cullare dall’idea che il tempo sia una retta che non torna mai all’origine. Questa è una veglia funebre strana, piena di vita, di specchi scoperti e senza punti dopo la fine. 

Erica Mou

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Intrecciare parole, destini, immagini, suoni, tessere fili di luce, accogliere echi di voci lontane. Mettere in relazione sospiri, grida soffocate, parole lanciate, scagliate, sussurrate, insanguinate, parole vomitate, taglienti, parole che fanno bene, che curano, che accarezzano, parole che ti prendono per mano e ti sospendono. 

Teresa Ludovico


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